venerdì 3 gennaio 2003

ELENCO ROVENTE CADUTI PER AMORE

Ventisei martiri nell'anno appena chiuso

ELENCO ROVENTE CADUTI PER AMORE

Da credenti, dobbiamo sforzarci di leggere questo elenco rovente di dolore come un bollettino di vittoria

di Maurizio Blondet

L'agenzia vaticana Fides ha comunicato il consuntivo: nel corso del 2002 sono stati uccisi nel mondo 26 religiosi cattolici. Sono 18 sacerdoti, due suore, un frate, due seminaristi, un laico consacrato. E un vescovo.
Da credenti, dobbiamo sforzarci di leggere questo elenco rovente di dolore come un bollettino di vittoria. Vista dall'Italia, con gli occhi di fedeli intermittenti, la Chiesa può sembrare disertata, e perfino morente. Invece, quell'elenco di morti ci conferma che essa è sempre viva. Continua a sprigionare la sua forza di vita e di perdono, nel modo tragico che è propriamente suo: attraverso i suoi martiri. E, come dice Fides, non si tratta solo di "missionari ad gentes", ma di "personale ecclesiastico ucciso o che ha sacrificato la vita consapevole del rischio che correva, pur di non abbandonare quanti gli erano affidati".
Buoni pastori. Il primo, quel Gesù di Nazaret, non l'abbiamo potuto vedere: figurarsi, ci ha lasciato duemila anni or sono. Un tempo lunghissimo. Abbastanza per stufarci noi di essere cristiani «in attesa». Se non fosse per coloro che, come disse Paolo, completano nella loro carne le sofferenze di Cristo, lo imitano fino alla croce, danno la vita per le pecore: così che ci è impossibile dire che Cristo non c'è, visto che agonizza ancora fra noi, nelle prime linee del mondo. Ogni anno, qualche decina di testimoni e di imitatori cade come lui su un Golgota lontano, come lui sopporta sputi e colpi di soldataglie,e come lui muore e perdona. E — credete a chi ha molto viaggiato — non c'è altra religione al mondo altrettanto fertile, così vivace e produttiva di crocifissi di carne. Nessuna fede, nemmeno le più antiche e grandi, produce suore di Madre Teresa, coi loro conventi dove — lo volle la fondatrice — c'è sempre sotto il crocifisso la parola che il morente disse sulla croce, "Ho sete", perché le suorine non dimentichino mai, quando danno da bere ai pulciosi miserabili di Calcutta o di Mosca e New York, a Chi danno da bere. Nessuna religione ha avuto un frate che si propose di addossarsi le colpe degli uomini, e farsi così "corredentore" con Cristo; folle ambizione, ma presa in parola. Perché quel frate ha ricevuto le stigmate, ha sanguinato una vita intera: nel nostro tempo, fra noi, e noi l'abbiamo visto. Nessuna Chiesa ha martiri non suicidi per odio, ma volontari della morte per amore. Nessuna, salvo questa.
Perciò il bollettino del lutto va letto come un comunicato di vittoria. Anche se il dolore è reso più cocente da un particolare feroce: il grosso dei martiri del 2002, ben 14, non sono stati trucidati da musulmani o pagani in terre lontane. Sono stati uccisi in America latina. Fra loro un missionario italiano, don Alois Lintner, caduto a San Salvador di Bahia in Brasile. Ma ben sette sacerdoti, una suora, un seminarista e un vescovo — monsignor Isaias Duarte Cancino — sono stati trucidati in Colombia, il Paese che ha il sinistro primato del massacro. Chi l'ha fatto — i delinquenti delle Farc — è gente probabilmente battezzata, nominalmente cattolica. Per loro, chissà se vale l'attenuante che Cristo invocò sulla sua croce: "Perdona loro, perché non sanno quello che fanno". Quelli lo sanno.



Maurizio Blondet
"Avvenire"
Venerdì 03 gennaio 2003